Eccellenze


Come ho già detto più volte, non amo usare questa parola quando si parla di scuola. 

Mi rimanda ai tempi detestabili di Mussolini. Oppure al modo in cui ci si rivolge con deferenza ad autorità quali il Prefetto, o i Vescovo. Tutte cose importanti (non la prima, certamente: Mussolini era e resta un odioso dittatore), ma che non hanno a che vedere con gesso, libri e LIM.

O con i ragazzi, con quello che sono davvero.

Da quando al nostro augusto Ministero della (Pubblica) Istruzione è stato aggiunto anche il termine “Merito”, sui media è stato tutto un fiorire di storie di studenti “eccezionali”, che hanno fatto milioni di cose contemporaneamente, magari sottraendo ore al sonno, tentando, appunto, di essere delle “eccellenze”.

Si sono distinti dalla massa grigia di quelli che sgobbano, faticano, ma non brillano, se non ad intermittenza, come le lucciole.

Ribadisco una cosa che ho detto più volte (evidentemente repetita non iuvant): quelle che vengono definite in quel modo, “eccellenze” sono assai rare e – soprattutto – NON sono merito degli insegnanti. O dei genitori.

Anzi: i docenti, in particolare, dovrebbero considerare un privilegio il fatto di essere entrati in contatto con alunni dotati in modo straordinario e dovrebbero anche evitare di rovinare la loro esistenza, nel tentativo di normalizzarli, fenomeno che si ripete assai spesso, nelle nostre classi.

La scuola non serve a preparare eccellenze. Il suo compito è spingere tutti – ma proprio tutti – a prendere coscienza dei loro talenti e a farli fruttare. Quanto più sia possibile. Pochi o tanti che siano.

Noi insegnanti abbiamo davanti questo compito davvero arduo: cercare di capire chi abbiamo davanti, nonostante gli schermi che mette per difendersi da noi, poi spingerlo a lavorare, soprattutto su se stesso. A farsi domande sul mondo, sulle cose, sui fenomeni.

Se saremo riusciti anche solo ad accendere quelle piccole lampade, saremo noi ad aver fatto un eccellente lavoro, perché quelle persone (perché – non dimentichiamolo – sono persone e non “alunno 1”, “alunno 2”, come vorrebbero farci credere e scrivere).

Dietro le storie di eccellenza tanto sbandierate sui e dai giornali, ci sono spesso le incredibili vanità dei genitori, che, altrettanto spesso, pressano ragazzi fragili e cedevoli rispetto alle aspettative che arrivano dagli adulti.

Andrei molto cauta con l’eccessiva e precoce voglia di far emergere i nostri figli: a volte non sono in grado di gestire i loro stessi talenti ed il tentativo di scalare il successo, ancor prima di capire quali siano i loro desideri.

Non hanno gli strumenti giusti. Per difendersi, soprattutto. Da noi, soprattutto.

Un paio di ragazzi davvero eccellenti che ho avuto modo di conoscere al liceo e che hanno deciso di uccidersi (apparentemente senza spiegazione alcuna) durante gli anni dell’università, mi hanno spinto ad una riflessione radicale su questo tema.

La normalità non è affatto male. C’è sempre tempo per arrivare. Sempre.

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    EDUCAZIONE CIVICA Breve storia triste: c’era una volta l’Educazione Civica, materia un tempo un tantino reietta dalla maggior parte dei docenti e compito quasi esclusivo di quelli che insegnavano materie letterarie. (un lemure, dopo tanti tagli selvaggi) Chi la praticava, riusciva ad inserirla a forza in progetti di classe non finanziati e totalmente autogestiti. Chi… Leggi tutto: EDUCAZIONE CIVICA
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    “LA MASCHERINA!” “Luca, tira su quella mascherina!” Sbuffa. “Prof! Mi sento soffocare! Non ce la faccio a tenerla!” Punto il dito contro di lui. “Non vorrai mica fare la quinta, eh?!” “Per carità!” – dice, mettendosi a ridere e riassestando sul naso la mascherina che poco prima era calata giù. (cosa che gli “capita” praticamente… Leggi tutto: “LA MASCHERINA!”
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    NEMMENO I BUONI PASTO Tra un cambio di ora e l’altro – trafelate – io ed una collega ci incontriamo in corridoio. “A che ora finisci?” – mi chiede. “Per fortuna sto uscendo. Questa, per oggi, era l’ultima. Tu?” Lei scuote la testa. Ha l’aria stanca, come tutti noi, in queste settimane. “Per carità! Oggi… Leggi tutto: NEMMENO I BUONI PASTO
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    “Come mai sei così arrabbiata?” – esordisco al telefono, sentendo subito il tono di voce di chi sta dall’altra parte. Paola è una mia collega, conosciuta nei lunghi anni di precariato, trascorsi da entrambe nei più disparati angoli della provincia.  Lei arrivava dalla Capitale, ma, zitta zitta, era riuscita a trovare una cattedra non troppo… Leggi tutto: TRECENTOVENTISEI

È solo una questione di merito?


Alea iacta est

“Lasciamoli lavorare!” 

È questo che – di solito –  si dice e si scrive, quando un governo inizia il suo cammino.

Va precisata subito una cosa: l’esordio non lascia presagire nulla di buono. 

Ed il “nulla di buono” sta già tutto in quella parolina aggiunta accanto al titolo del nostro ministero: “merito”.

Un termine assai caro a tanta parte dei dirigenti scolastici, ad una certa parte del mondo politico. Ad una parte della sinistra, anche.

Di criterio del merito da applicare all’interno del mondo della scuola si discute da anni e quasi sempre si sono dette e scritte tante cose, senza mai arrivare a nulla.

Nel merito.

Sono state prese decisioni discutibili ed, inevitabilmente, impopolari, che hanno contribuito ad accentrare il potere dove si trovava già: all’interno delle Presidenze, senza arrivare mai al nucleo del problema e, cioè, a dare una vera e significativa gratificazione a dei lavoratori, quelli che la scuola la fanno tutti i giorni da sempre, i quali si sono fatti carico, in questi ultimi due anni, di tutte le mancanze che hanno caratterizzato – per ignavia e per incompetenza – il mondo della politica.

I docenti e tutto il personale si sono fatti carico del coraggio, il grande assente dalle scene in questi mesi passati.

Del nuovo Ministro, dunque, potremo discutere quando saranno più chiare le sue intenzioni.

Di quelli vecchi, dell’ultimo in particolare, si può, però dire molto.

Molto spesso – tra colleghi – ci siamo chiesti quali mai potessero essere stati negli anni i criteri con cui i ministri della Pubblica Istruzione sono stati designati.

(anni in cui – va detto con chiarezza – la sinistra ha avuto quasi sempre la possibilità di dire la sua, nella scelta)

L’ultimo ministro, in particolare, è stato, a dire poco, desolante, deludente.

A leggere le sue dichiarazioni (spesso semplici lanci di agenzia, buttati lì, senza molto senso), si aveva spesso la reazione che si ha quando, in gita familiare e di gruppo, il cugino scemo (c’è SEMPRE un cugino scemo nel gruppo) fa la sua dichiarazione che mette tutti in imbarazzo.

Ci si girava dall’altra parte, facendo finta di nulla, nella speranza che nessuno si accorgesse di quanto era stato appena detto. Che tutto cadesse presto nell’oblio. Ecco: dell’ultimo nostro Ministro speriamo questo, che cada presto nell’oblio che merita. Tutto quanto.

L’ultimo Ministro è stato quasi sempre imbarazzante, indisponente, arrogante nei nostri confronti. 

Invece di rendere merito a chi, nonostante tutto e tutti – ha portato avanti questa baracca fatiscente, che in tempi di COVID ha mostrato bene tutti i suoi spifferi (metaforici e reali), egli ha preferito attaccare, ridicolizzare, mortificare e spaventare un’intera categoria di lavoratori. Dividerli.

Quindi, sia chiaro: gli ultimi ministri della Pubblica Istruzione non hanno dimostrato di possedere né le competenze né la sensibilità per portare avanti un compito così delicato.

(…e che dire dei famosi banchi a rotelle? dell’afasia dei primi giorni di lockdown, quando noi docenti abbiamo dovuto organizzare la didattica a distanza completamente da soli ed in autonomia, con i nostri tablet ed i nostri computer e le nostre connessioni?)

Lasciamoli lavorare, dunque. Entreremo nel merito appena possibile. 

(io, però, mi faccio pochissime illusioni, sia chiaro fin da subito)

“NON HO PIU’ PENSIERI”


“Pensate alla sfortuna di quelli che hanno scoperto di essere innamorati, proprio in questi giorni!”

Questa è stata l’ultima frase che ho pronunciato davanti alla classe – una terza – prima di salutarli, alla fine di quell’ultima ora di quel mercoledì che – ancora non lo sapevamo con certezza, sebbene ci fossero molti timori in proposito – sarebbe stato anche l’ultimo in presenza per quell’anno scolastico. l’ultima volta senza mascherine, l’ultima volta in cui, durante una lezione, avevamo potuto guardarci dritti in faccia.

E poi è tutto precipitato.

Le informazioni scambiate con i colleghi via whatsapp, la scoperta di una piattaforma chiamata Zoom, all’interno della quale, come carbonari, abbiamo iniziato ad organizzare le prime lezioni, solo di mezz’ora, che ci hanno consentito di rivederci.

Ci sembrava un miracolo, in quel momento. La possibilità, in quel caos inquietante, di organizzare una sorta di “normalità”, anche se, di normale, non aveva proprio nulla.

La cosa più impressionante – dopo che le lezioni, in quella primavera, sono state istituzionalizzate con la DAD – era vedere le facce dei ragazzi alle otto di mattina. Con il passare delle settimane, i volti erano sempre più terrei, sempre più inespressivi.

Mi ero inventata un piccolo gioco, con i ragazzi delle seconde.

Mentre facevo l’appello, nome dopo nome, ognuno aveva l’obbligo di esprimere un pensiero negativo ed uno positivo. Questa cosa richiedeva tempo, ma era importante. Imponeva ad ognuno di noi (io esprimevo sempre per prima i due pensieri) di concentrarci su quello che sentivamo. Per non farci schiacciare dall’angoscia, dovevamo esprimere i nostri sentimenti.

Ha funzionato abbastanza.

Una mattina, però, uno dei ragazzi – quando è arrivato il suo turno – mi ha risposto: “Professoressa, io non ho più pensieri!”

In quel momento ho capito che eravamo tutti, ma proprio tutti, arrivati al limite delle nostre risorse interiori. Per fortuna era maggio, ormai.

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    Come ho già detto più volte, non amo usare questa parola quando si parla di scuola.  Mi rimanda ai tempi detestabili di Mussolini. Oppure al modo in cui ci si rivolge con deferenza ad autorità quali il Prefetto, o i Vescovo. Tutte cose importanti (non la prima, certamente: Mussolini era e resta un odioso dittatore),… Leggi tutto: Eccellenze
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    “Lasciamoli lavorare!”  È questo che – di solito –  si dice e si scrive, quando un governo inizia il suo cammino. Va precisata subito una cosa: l’esordio non lascia presagire nulla di buono.  Ed il “nulla di buono” sta già tutto in quella parolina aggiunta accanto al titolo del nostro ministero: “merito”. Un termine assai… Leggi tutto: È solo una questione di merito?
  • GUERRE PUNICHE E SAPERI TECNICI
    GUERRE PUNICHE E SAPERI TECNICI “Siamo alle solite, Calimero!”- come si diceva una volta a Carosello. Ecco qua l’ennesimo politico in cerca di visibilità, che se ne arriva con la consueta, inutile, sciocca, vuota, contrapposizione tra saperi nella scuola italiana. Sapere tecnico versus quello umanistico. Fight Club: accomodatevi, signori e signore! Ci troviamo ancora una… Leggi tutto: GUERRE PUNICHE E SAPERI TECNICI
  • GIORNATE FATICOSE
    GIORNATE FATICOSE In una delle mie classi ho messo su un piccolo laboratorio di haiku. È la seconda volta che mi capita: credo che – nell’anno (il secondo) in cui in classe si lavora in modo “tecnico” sul testo poetico – fare poesia in modo concreto, aiuti a capire quanto faticoso sia l’atto creativo di… Leggi tutto: GIORNATE FATICOSE
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    PROVE SCRITTE Si tratta di un’impressione “a caldo” e, forse, proprio per questo, lascerà il tempo che trova,   verrà interpretata come lo sfogo di una docente eccessivamente preoccupata.  Tuttavia questo sempre più probabile annullamento delle prove scritte dell’Esame di Stato si porta dietro un inevitabile senso di fallimento.  Di perdita di una cosa importante.… Leggi tutto: PROVE SCRITTE

GUERRE PUNICHE E SAPERI TECNICI


GUERRE PUNICHE E SAPERI TECNICI

“Siamo alle solite, Calimero!”- come si diceva una volta a Carosello.

Ecco qua l’ennesimo politico in cerca di visibilità, che se ne arriva con la consueta, inutile, sciocca, vuota, contrapposizione tra saperi nella scuola italiana.

Sapere tecnico versus quello umanistico. Fight Club: accomodatevi, signori e signore!

Ci troviamo ancora una volta davanti a qualcuno che perde parte del suo tempo prezioso a parlare di ciò che non sa. Di un mondo di cui non conosce il funzionamento. Ma – sprezzante del pericolo e del ridicolo – ne parla. Purtroppo per noi.

Non sarebbe un grosso guaio, se ci trovassimo a chiacchiera, seduti su uno sgabello, al bar. Smetteremmo semplicemente di ascoltare l’incauto individuo, mentre dice idiozie, e fine del discorso.

Ci concentreremmo piuttosto sulle patatine, sui sottaceti lì, davanti a noi, e lasceremmo le sue parole scorrere nella corrente d’aria tra porta d’ingresso e finestra.

Più salutare, oggigiorno.

Purtroppo – ancora una volta – è un Ministro a parlare (un uomo di peso politico, dunque): parla di scuola e lo fa col candore e la sicumera che anima, come spesso capita, quelli che parlano a vuoto di un argomento che non conoscono.

Di un ambito che non praticano. Perché, nella vita, fanno altro.

(uno sport singolarmente diffuso, da un po’ di tempo a questa parte)

Molte persone sono convinte di conoscere come funziona la scuola, come lavoriamo (o non lavoriamo) noi insegnanti, credono di sapere alla perfezione che a scuola, nel silenzio dell’aula, noi vediamo di fronte a noi – seduti nei banchi – non ragazzi che devono prepararsi a tutto quello che li attende là fuori, ma dei semplici contenitori che ci divertiamo a riempire a caso di nozioni. Umanistiche, di preferenza. (perché – è notorio – i docenti di materie umanistiche sono quelli meno in contatto col mondo esterno, quelli più avulsi da ogni contesto, specie se è di carattere produttivo, ma sono anche quelli che sgomitano per avere sempre più spazio nella scuola)

Noi umanisti – tutti lo sanno – godiamo nel saturare di nozioni le nostre vittime. Fino a satollarle. Specie se si tratta di saperi polverosi, vecchi, stantii, come quelle inutili regole della grammatica o quelle nozioni di storia che, come si sa, non danno certo da mangiare: “ci vorrebbe ben altro!” – direbbe qualcuno. Questo dramma si verificherebbe perché siamo gelosi del nostro antico potere e della concorrenza dei nuovi saperi di carattere “tecnico”, quelli emergenti (ma poi, cosa sarebbe ESATTAMENTE un sapere tecnico? saper riparare un motore? saper usare una pialla? saper accendere e far funzionare un computer? o sapere usare un libro o un dizionario come si deve? non sarà che ogni forma di sapere concorre a formare un individuo che è, innanzitutto, un essere pensante?) Chiariamo dunque subito una questione.

Nessuno, ormai, lavora più in questo modo, lo sappia, caro Ministro. Nessuno di noi arriva in classe brandendo un imbuto, come quelli che si utilizzano con le oche quando si vuol far crescere a dismisura il loro fegato, da spalmare poi su una tartina. Anche noi vecchi e polverosi docenti di materie umanistiche siamo stati capaci di evolverci (e la pandemia, con il conseguente lockdown, lo ha ampiamente dimostrato)

Il modo di lavorare che ci caratterizza ha  semplicemente l’obiettivo di creare persone che riflettono sulla realtà che li circonda. E questo, certo, lo ammettiamo, ha poco di tecnico e molto di pedagogico. Non è una cosa da sfoggiare a favore di telecamera. Non siamo, però, cultori della nozione per la nozione. Siamo, in generale, persone che rispettano il sapere ed il lavoro di tutti i colleghi. Perché sappiamo che ognuno di noi mette il suo sassolino nell’edificio. Le nozioni – in sé e per sé – non ci importano molto.

Alcune di esse sono indispensabili, certo.

(in che modo si potrebbe altrimenti mettere insieme un ragionamento, senza conoscere le regole di base della grammatica? in che modo si potrebbe compiere una operazione quotidiana qualsiasi, senza avere le nozioni di base dell’aritmetica o della geometria?)

Ma – e da un pezzo – siamo andati oltre. Molto oltre.

E forse questo, nel mondo della politica, non è ancora abbastanza chiaro.

Il Ministro sembra non saperlo. Molti politici sembrano ignorarlo da sempre.

Alcuni fanno avere alle agenzie di stampa comunicati in cui parlano di scuola, senza averla mai fatta. Senza avere mai insegnato, nemmeno per un giorno nella vita. Una sorta di Ignoranza A Distanza. Molta, molta distanza (dai fatti).

Forse però è così che bisogna fare. Dobbiamo imparare anche noi docenti. Da certe tribune social.

Penso che – a breve – mi metterò a fare conferenze sul modo migliore di praticare la chirurgia, sul modo in cui conviene pilotare un aereo, senza avere la minima idea di ciò di cui sto parlando.

Che importa, in fondo?

Ho comunque detto la mia davanti ad una platea ugualmente ignorante ed è questo che conta di più – di questi tempi.

Parlare a vanvera.

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    GUERRE PUNICHE E SAPERI TECNICI “Siamo alle solite, Calimero!”- come si diceva una volta a Carosello. Ecco qua l’ennesimo politico in cerca di visibilità, che se ne arriva con la consueta, inutile, sciocca, vuota, contrapposizione tra saperi nella scuola italiana. Sapere tecnico versus quello umanistico. Fight Club: accomodatevi, signori e signore! Ci troviamo ancora una… Leggi tutto: GUERRE PUNICHE E SAPERI TECNICI
  • GIORNATE FATICOSE
    GIORNATE FATICOSE In una delle mie classi ho messo su un piccolo laboratorio di haiku. È la seconda volta che mi capita: credo che – nell’anno (il secondo) in cui in classe si lavora in modo “tecnico” sul testo poetico – fare poesia in modo concreto, aiuti a capire quanto faticoso sia l’atto creativo di… Leggi tutto: GIORNATE FATICOSE
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    PROVE SCRITTE Si tratta di un’impressione “a caldo” e, forse, proprio per questo, lascerà il tempo che trova,   verrà interpretata come lo sfogo di una docente eccessivamente preoccupata.  Tuttavia questo sempre più probabile annullamento delle prove scritte dell’Esame di Stato si porta dietro un inevitabile senso di fallimento.  Di perdita di una cosa importante.… Leggi tutto: PROVE SCRITTE

GIORNATE FATICOSE


GIORNATE FATICOSE

In una delle mie classi ho messo su un piccolo laboratorio di haiku.

È la seconda volta che mi capita: credo che – nell’anno (il secondo) in cui in classe si lavora in modo “tecnico” sul testo poetico – fare poesia in modo concreto, aiuti a capire quanto faticoso sia l’atto creativo di un poeta.

Per nulla improvvisato. Richiede creatività e contemporaneamente rispetto di una serie di regole.

Nell’anno in cui alla fine siamo stati tutti travolti dalla pandemia ero passata addirittura a far creare delle terzine in rima.

L’obiettivo finale che mi ero proposta era quello di arrivare a creare un “sonetto di classe”, elaborato con lo sforzo di tutti, ma le cose, ad un certo punto, come tutti sappiamo, hanno preso una direzione del tutto diversa ed il sonetto programmato è rimasto incompiuto.

Quest’anno ho ripreso con gli haiku, ma non mi sono posta obiettivi particolari.

Navighiamo a vista. Vediamo come va. 

Il lavoro è particolare e divertente: ogni quindici giorni c’è da creare (su un foglietto grande come un post-it) un haiku, su un tema che assegno di volta in volta.

Il foglietto deve essere anonimo.

Nel giorno stabilito per la correzione, raccolgo, uno ad uno (dopo averli igienizzati, ovvio) i foglietti, li mescolo accuratamente e li distribuisco nuovamente, in modo tale che nessuno abbia in mano la sua poesia, ma debba leggere quella di qualcun altro.

A turno, ognuno dei ragazzi legge un haiku, dopo avere controllato che sia stata rispettata la regola del numero di sillabe giusto per ogni verso (5-7-5).

Senza alcun commento.

Ne vengono fuori delle cose molto suggestive. Ecco qualche esempio:

(il tema di questa volta era: giornate faticose)

Ansia costante

Non mi posso fermare

Troppa fatica

Testa confusa

Il peso sulle spalle

Fuori umido

(qui è contenuta anche una velata allusione alla stagione, come richiederebbe la regola dell’haiku)

Sono a casa

Ormai c’è la luna

Ora mi rilasso

(in questo caso le sillabe non sempre sono quelle giuste, ma è un testo comunque suggestivo)

Un altro obiettivo (non dichiarato) è che dalla poesia emergano stati d’animo, percezioni. Il sentire dei ragazzi. 

In questa tornata quasi tutti gli haiku erano densi di sentimenti di stanchezza, di ansia.

(solo parzialmente dovuti al tema di partenza)

Un evidente segno dei tempi pesanti che stiamo tutti vivendo e che ci perseguitano ormai da mesi.

Quando sono stanco

La giornata è stressante

Mi sdraio sul letto

(anche qui un paio di sillabe in più, ma è l’umore, ciò che è importante osservare)

Questo laboratorio è utile per monitorare una serie di cose che in apparenza sono effetti collaterali, ma che, in realtà, servono anche a tenere sotto controllo il “sentire medio” della classe.

Una cosa importante, specie in questo periodo.

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  • È solo una questione di merito?
    “Lasciamoli lavorare!”  È questo che – di solito –  si dice e si scrive, quando un governo inizia il suo cammino. Va precisata subito una cosa: l’esordio non lascia presagire nulla di buono.  Ed il “nulla di buono” sta già tutto in quella parolina aggiunta accanto al titolo del nostro ministero: “merito”. Un termine assai… Leggi tutto: È solo una questione di merito?
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    GUERRE PUNICHE E SAPERI TECNICI “Siamo alle solite, Calimero!”- come si diceva una volta a Carosello. Ecco qua l’ennesimo politico in cerca di visibilità, che se ne arriva con la consueta, inutile, sciocca, vuota, contrapposizione tra saperi nella scuola italiana. Sapere tecnico versus quello umanistico. Fight Club: accomodatevi, signori e signore! Ci troviamo ancora una… Leggi tutto: GUERRE PUNICHE E SAPERI TECNICI
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  • PROVE SCRITTE
    PROVE SCRITTE Si tratta di un’impressione “a caldo” e, forse, proprio per questo, lascerà il tempo che trova,   verrà interpretata come lo sfogo di una docente eccessivamente preoccupata.  Tuttavia questo sempre più probabile annullamento delle prove scritte dell’Esame di Stato si porta dietro un inevitabile senso di fallimento.  Di perdita di una cosa importante.… Leggi tutto: PROVE SCRITTE

PROVE SCRITTE


PROVE SCRITTE

Si tratta di un’impressione “a caldo” e, forse, proprio per questo, lascerà il tempo che trova,   verrà interpretata come lo sfogo di una docente eccessivamente preoccupata. 

Tuttavia questo sempre più probabile annullamento delle prove scritte dell’Esame di Stato si porta dietro un inevitabile senso di fallimento. 

Di perdita di una cosa importante.

Ad osservarlo a caldo sembra proprio un’assurdità. Una cosa inspiegabile.

Il primo pensiero che viene in mente è: 

“Se possiamo fare ogni mese un compito in classe, perché non possiamo portare a termine uno scritto (o due) dell’Esame di Stato?”

I rischi non cambiano. L’assembramento, nemmeno.

I dispositivi di sicurezza ci sono. 

Le prove scritte si svolgerebbero poi in estate (più o meno), nel momento dell’anno che, da quando è esplosa la pandemia, comporta meno rischi per tutti. 

Dunque, perché non farle?

Il secondo pensiero che viene subito in mente è:

“Allora, quella vostra tanto sbandierata normalità, quell’esortazione ad abbracciarci tutti e – udite udite, quanta audacia! – a buttare via presto le mascherine in classe, era solo demagogia! Era un auspicio per i secoli a venire! Ci stiamo tutti prendendo in giro? Non far svolgere le prove di esame è una presa in giro bella e buona.”

(però, a pensarci bene, non è affatto divertente)

I ragazzi di sicuro festeggeranno, ma (come è già accaduto quando sono state diminuite le ore di geografia, di latino, ecc. ecc.) non si rendono conto del furto che stanno subendo. L’ultimo dei tanti furti che essi hanno subito dai tagli di Tremonti in qua.

Non si accorgono che questo depauperamento delle loro competenze (e quella della scrittura, del ragionare e poi mettere per iscritto un pensiero, è una competenza fondamentale e trasversale) si tramuterà in una ulteriore difficoltà quando – ancora una volta – nelle Facoltà universitarie la si darà per scontata, quando invece risulterà (nel corso delle verifiche, degli esami e della formulazione di tesine e tesi) drammaticamente assente.

Abituare i ragazzi ad esporre in modo ordinato e corretto il loro pensiero, le loro riflessioni – serve ribadirlo? – è di fondamentale importanza. 

È importante anche che tutto questo possa essere verificato nel corso delle prove finali, quelle che avvengono (avvenivano?) proprio nel momento di uscita dei ragazzi dal percorso pluriennale delle scuole superiori.

Eliminare queste prove è una scelta, a mio avviso, deleteria e scellerata.

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  • È solo una questione di merito?
    “Lasciamoli lavorare!”  È questo che – di solito –  si dice e si scrive, quando un governo inizia il suo cammino. Va precisata subito una cosa: l’esordio non lascia presagire nulla di buono.  Ed il “nulla di buono” sta già tutto in quella parolina aggiunta accanto al titolo del nostro ministero: “merito”. Un termine assai… Leggi tutto: È solo una questione di merito?
  • GUERRE PUNICHE E SAPERI TECNICI
    GUERRE PUNICHE E SAPERI TECNICI “Siamo alle solite, Calimero!”- come si diceva una volta a Carosello. Ecco qua l’ennesimo politico in cerca di visibilità, che se ne arriva con la consueta, inutile, sciocca, vuota, contrapposizione tra saperi nella scuola italiana. Sapere tecnico versus quello umanistico. Fight Club: accomodatevi, signori e signore! Ci troviamo ancora una… Leggi tutto: GUERRE PUNICHE E SAPERI TECNICI
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    GIORNATE FATICOSE In una delle mie classi ho messo su un piccolo laboratorio di haiku. È la seconda volta che mi capita: credo che – nell’anno (il secondo) in cui in classe si lavora in modo “tecnico” sul testo poetico – fare poesia in modo concreto, aiuti a capire quanto faticoso sia l’atto creativo di… Leggi tutto: GIORNATE FATICOSE
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    PROVE SCRITTE Si tratta di un’impressione “a caldo” e, forse, proprio per questo, lascerà il tempo che trova,   verrà interpretata come lo sfogo di una docente eccessivamente preoccupata.  Tuttavia questo sempre più probabile annullamento delle prove scritte dell’Esame di Stato si porta dietro un inevitabile senso di fallimento.  Di perdita di una cosa importante.… Leggi tutto: PROVE SCRITTE

DEDIZIONE


DEDIZIONE

A scorrere i comunicati stampa dei Ministri della (Pubblica) Istruzione degli ultimi anni (ma, secondo me, anche degli ultimi decenni) non ce n’è uno – che sia uno – che, pubblicato all’inizio del mandato, non abbia fatto pervenire ai giornalisti solenni parole di elogio dell’opera degli insegnanti, che – immancabilmente – erano potenziate e rese solenni da una frase, sempre quella (da decenni): “lo stipendio dei docenti meriterebbe di essere molto, ma molto più alto dei livelli attuali di retribuzione”.

C’era chi si arrischiava addirittura a parlare di aumenti a tre cifre, (sempre meritatissimi dagli insegnanti, secondo lui) con evidente sprezzo del pericolo (o del ridicolo?).

In tre decadi già trascorse da insegnante, ho imparato – a priori – a diffidare del condizionale.

Un modo verbale poco impegnativo, perché se ne frega (ops!) assolutamente del dato oggettivo, della realtà – quale che sia. 

Il condizionale ci fa assaggiare il migliore dei mondi possibili, senza farcelo però assaporare. Ci fa credere in una miriade di cose, che però la protasi immancabile, di quello che è un periodo ipotetico del terzo tipo, rende del tutto irrealizzabili.

E così è anche per il nostro mirabolante stipendio del terzo tipo: quello dell’irrealtà. 

Quello che ci viene fatto annusare, ma che non arriva mai davvero.

Nella legge di bilancio di quest’anno ha infatti fatto capolino l’ennesima presa in giro.

Ci daranno un aumento, sì, (forse, moooolto forse) ma sarà legato alla dedizione che abbiamo dimostrato, che avremo dimostrato di possedere.

(se mai ne abbiamo avuta una)

Da un punto di vista etimologico, dedizione deriva da deditio, che in latino indica l’atto di arrendersi.

E forse – in quelle remote, silenziose, perfette stanze del Ministero – avranno pensato che, alla fine, ci prenderanno per sfinimento, nel momento in cui decideremo di arrenderci. 

Nel momento in cui tireremo fuori quella benedetta bandiera bianca.

(“fate come vi pare, ci arrendiamo!”)

Dedizione – come parola – mi fa pensare a quelle infermiere di guerra che assistono – senza badare al pericolo – i soldati feriti. Mi fa pensare alle mamme che vegliano solerti sul sonno e sul benessere dei loro pargoli.

Noi non siamo né mamme né infermiere. Siamo docenti. E chiediamo rispetto, senza la speranza di averne.

Credo che noi insegnanti meriteremmo quella forma di rispetto che da secoli e secoli manca ai ministri che decidono dei nostri destini: quello delle Finanze, quello della Pubblica Amministrazione, quello dell’Istruzione.

Credo anche che – uscendo dalle battute – quello che abbiamo fatto durante la pandemia sia stato ben presto dimenticato. 

(gli eroi!)

Se ci chiedono, se pretendono di certificare la nostra dedizione, vuol dire che erano altrove, guardavano altrove mentre noi cercavamo – anche via Zoom, anche via Meet – di non far crollare i loro figli ed i loro nipoti.

E nessuno ancora ci ha ringraziato per aver preso in mano la situazione immediatamente,  per avere organizzato da soli il servizio, mentre la Ministra dell’epoca era ancora preda dei suoi balbettii.

  • Eccellenze
    Come ho già detto più volte, non amo usare questa parola quando si parla di scuola.  Mi rimanda ai tempi detestabili di Mussolini. Oppure al modo in cui ci si rivolge con deferenza ad autorità quali il Prefetto, o i Vescovo. Tutte cose importanti (non la prima, certamente: Mussolini era e resta un odioso dittatore),… Leggi tutto: Eccellenze
  • È solo una questione di merito?
    “Lasciamoli lavorare!”  È questo che – di solito –  si dice e si scrive, quando un governo inizia il suo cammino. Va precisata subito una cosa: l’esordio non lascia presagire nulla di buono.  Ed il “nulla di buono” sta già tutto in quella parolina aggiunta accanto al titolo del nostro ministero: “merito”. Un termine assai… Leggi tutto: È solo una questione di merito?
  • GUERRE PUNICHE E SAPERI TECNICI
    GUERRE PUNICHE E SAPERI TECNICI “Siamo alle solite, Calimero!”- come si diceva una volta a Carosello. Ecco qua l’ennesimo politico in cerca di visibilità, che se ne arriva con la consueta, inutile, sciocca, vuota, contrapposizione tra saperi nella scuola italiana. Sapere tecnico versus quello umanistico. Fight Club: accomodatevi, signori e signore! Ci troviamo ancora una… Leggi tutto: GUERRE PUNICHE E SAPERI TECNICI
  • GIORNATE FATICOSE
    GIORNATE FATICOSE In una delle mie classi ho messo su un piccolo laboratorio di haiku. È la seconda volta che mi capita: credo che – nell’anno (il secondo) in cui in classe si lavora in modo “tecnico” sul testo poetico – fare poesia in modo concreto, aiuti a capire quanto faticoso sia l’atto creativo di… Leggi tutto: GIORNATE FATICOSE
  • PROVE SCRITTE
    PROVE SCRITTE Si tratta di un’impressione “a caldo” e, forse, proprio per questo, lascerà il tempo che trova,   verrà interpretata come lo sfogo di una docente eccessivamente preoccupata.  Tuttavia questo sempre più probabile annullamento delle prove scritte dell’Esame di Stato si porta dietro un inevitabile senso di fallimento.  Di perdita di una cosa importante.… Leggi tutto: PROVE SCRITTE

EDUCAZIONE CIVICA


EDUCAZIONE CIVICA

Breve storia triste: c’era una volta l’Educazione Civica, materia un tempo un tantino reietta dalla maggior parte dei docenti e compito quasi esclusivo di quelli che insegnavano materie letterarie.

(un lemure, dopo tanti tagli selvaggi)

Chi la praticava, riusciva ad inserirla a forza in progetti di classe non finanziati e totalmente autogestiti.

Chi la praticava, per amore della materia in sé, cercava di farlo senza fare troppo rumore, senza tante chiacchiere, schede, Progettazioni di Istituto, relazioni, power point, premi finali e cotillons + bacio del Dirigente ai pupi.

Eravamo in pochi, ma davvero motivati.

Poi – come sempre accade nelle tragedie greche – è arrivata l’Istituzione. 

Sono arrivati i Programmi, i Nuclei, le UDA. Le verifiche intermedie e quelle finali.

È arrivato anche il mercato delle vacche:

“Allora, collega di Scienze Motorie, quante ore ti prendi? E tu? Oh, parlo con te, collega di Scienze! Non fare il finto tonto.” – si è iniziato ad urlare nelle riunioni su Meet, da parte dei coordinatori di classe.

È arrivato – fatale, purtroppo – anche il Manuale Cencelli dell’Educazione Civica: delle trentatré ore previste dal Ministero per questa materia (come i trentatré trentini di Trento) ognuno si accolla il suo carico, in proporzione diretta alle ore che fa ogni settimana.

(le tragedie della vita, stavolta)

E poi sono arrivati i tutor (può mai mancare un tutor nella nostra scuola? Giammai!) e sono arrivati o Coordinatori (da aggiungere alla pletora di Coordinatori già in vita).

Il clou, tuttavia, sono gli argomenti: fissi, cristallizzati, decisi ed imposti dall’alto.

Già vecchi, perché passati al ralenti, con moooolta calma, per i corridoi silenziosi del MIUR.

Mai più quelle scorribande nel sapere e nella cultura che prima riuscivo ad infilare in modo banditesco in questa materia (teorie sociologiche strampalate, come quella dei sei gradi di separazione o la teoria della finestra rotta, squarci di scienza come le scoperte dell’epigenetica, ecc. ecc.).

No more!

Udite udite! Si dovrà parlare di globalizzazione! Proprio nel momento in cui la vediamo lentamente allontanarsi alle nostre spalle.

Si parla di creare una competizione nelle classi per chi creerà l’elaborato più smart.

Con la spettacolarizzazione di una materia che richiede analisi silenziosa e riflessione.

Qui, invece, si valuta. Si procede per step. Si monitora.

La morte civile, a parer mio.

(che è solo mio, si intende)

  • Eccellenze
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  • GUERRE PUNICHE E SAPERI TECNICI
    GUERRE PUNICHE E SAPERI TECNICI “Siamo alle solite, Calimero!”- come si diceva una volta a Carosello. Ecco qua l’ennesimo politico in cerca di visibilità, che se ne arriva con la consueta, inutile, sciocca, vuota, contrapposizione tra saperi nella scuola italiana. Sapere tecnico versus quello umanistico. Fight Club: accomodatevi, signori e signore! Ci troviamo ancora una… Leggi tutto: GUERRE PUNICHE E SAPERI TECNICI
  • GIORNATE FATICOSE
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  • PROVE SCRITTE
    PROVE SCRITTE Si tratta di un’impressione “a caldo” e, forse, proprio per questo, lascerà il tempo che trova,   verrà interpretata come lo sfogo di una docente eccessivamente preoccupata.  Tuttavia questo sempre più probabile annullamento delle prove scritte dell’Esame di Stato si porta dietro un inevitabile senso di fallimento.  Di perdita di una cosa importante.… Leggi tutto: PROVE SCRITTE

“LA MASCHERINA!”


“LA MASCHERINA!”

“Luca, tira su quella mascherina!”

Sbuffa.

“Prof! Mi sento soffocare! Non ce la faccio a tenerla!”

Punto il dito contro di lui.

“Non vorrai mica fare la quinta, eh?!”

“Per carità!” – dice, mettendosi a ridere e riassestando sul naso la mascherina che poco prima era calata giù.

(cosa che gli “capita” praticamente ogni cinque minuti)

Luca è un uomo da Guinness dei Primati. Dentro quella classe è quello che ha fatto più quarantene di tutti: quattro.

Una prima volta per colpa della sua ragazza, che era risultata positiva, una seconda perché la sua mamma si è ammalata, a causa del COVID, una terza, quando anche lui si è ammalato e – non contento – una quarta a primavera, quando si è fermato a dormire a casa di un amico, che poi è risultato positivo.

Un recordman, appunto.

Li guardo, mentre stiamo facendo ricreazione, e penso alle disavventure che abbiamo vissuto in questi mesi di pandemia.

Penso alle facce spaurite che mi sono ritrovata davanti – sullo schermo. Alle volte che ho dovuto consolarli e fare loro coraggio, mentre io stessa, da sola a casa e con un figlio lontano al Nord, trovavo a fatica ogni mattina la forza di alzarmi dal letto e mettere ordine nei pensieri e sulla mia persona.

Penso alla complicità che abbiamo costruito in quei mesi.

Ogni tanto – durante il laboratorio settimanale di scrittura, davo come tema su cui scrivere un sentimento: rabbia, gioia, speranza, e così via.

“Dovete elaborare un pensiero di una decina di righe su questo tema. Avete dieci minuti a partire da ora!” – dicevo, come faccio sempre.

Poi, pazientemente, ascoltavo quello che ognuno di loro aveva scritto.

“Ma non mi viene in mente niente!” – si lamentavano, all’inizio.

“Spremete quelle teste vuote e fate venire fuori qualcosa. È un ordine, mica un consiglio!” – rispondevo, per costringerli a lavorare su se stessi, per spingerli a tenere duro, a guardarsi dentro.

Sono uscite molte cose, in realtà.

Ad un certo punto di quell’anno così orrendo, verso aprile, ho creato per i miei ragazzi un piccolo corso pomeridiano di pranayama. Un corso di respirazione e rilassamento per tenere a bada l’ansia.

A volte, nel rilassamento finale, si addormentavano.

Non sapevano che lavorando sulla loro ansia, io riuscivo a tenere a bada anche la mia. Mi sentivo meno in galera, dentro il mio appartamento.

  • Eccellenze
    Come ho già detto più volte, non amo usare questa parola quando si parla di scuola.  Mi rimanda ai tempi detestabili di Mussolini. Oppure al modo in cui ci si rivolge con deferenza ad autorità quali il Prefetto, o i Vescovo. Tutte cose importanti (non la prima, certamente: Mussolini era e resta un odioso dittatore),… Leggi tutto: Eccellenze
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NEMMENO I BUONI PASTO


NEMMENO I BUONI PASTO

Tra un cambio di ora e l’altro – trafelate – io ed una collega ci incontriamo in corridoio.

“A che ora finisci?” – mi chiede.

“Per fortuna sto uscendo. Questa, per oggi, era l’ultima. Tu?”

Lei scuote la testa. Ha l’aria stanca, come tutti noi, in queste settimane.

“Per carità! Oggi finisco alle quindici e quaranta.”

Siamo a novembre e l’orario delle lezioni è cambiato già almeno tre volte e non sembra essere ancora definitivo.

Colpa dei mezzi pubblici. Insufficienti. Cronicamente insufficienti.

Abbiamo i turni di ingresso scaglionati, che comportano uno scivolamento dell’intero orario a metà pomeriggio.

Ci sono ragazzi che escono di casa la mattina alle sei e fanno rientro a casa, in alcune giornate, alle sei di sera.

Perché abitano nelle parti periferiche della nostra provincia ed il viaggio, sia di andata, che di ritorno, è di un paio di ore, perché i paesini che si incontrano durante il percorso sono parecchi, come anche le fermate. Un’Odissea. 

“Ma ti sembra giusto?” – mi chiede la collega.

“Che cosa?” – le rispondo, riemergendo da queste riflessioni.

“Che dobbiamo mangiare in cinque minuti, poco prima dell’una, poggiati su una cattedra. Senza che a nessuno, poi, venga in mente di darci i buoni pasto, come tutto il resto della pubblica amministrazione? Ma quanto siamo stupidi noi insegnanti? Cosa debbono farci – ancora – perché in arriviamo a reagire?”

(è proprio vero: siamo la categoria che subisce tutto, quella che sembra fatta di gomma: i taxisti, ad esempio, vedono profilarsi Uber all’orizzonte e bloccano immediatamente le città in modo rumoroso, e Uber viene riaccompagnato alla frontiera senza mezzi termini, altri si fanno sentire con blocchi e scioperi e trovano chi li ascolta, noi invece restiamo inerti, come sacchi di sabbia, qualsiasi cosa ci venga catapultata addosso)

“Chiediamo alle nostre RSU. Magari possono fare qualcosa” – osservo timidamente.

“Seeeee! Le RSU!” – conclude lei, mettendosi a ridere – “Anche questa cosa del panino mangiato all’ora di pranzo a scuola in tre minuti, senza nemmeno essere rimborsati, ce la porteremo fino alla fine dell’anno senza discutere e basta! Te lo dico io!”

(mi sa proprio che ha ragione: quando mai riusciamo a farci sentire come si dovrebbe?)

ohibò

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    “Lasciamoli lavorare!”  È questo che – di solito –  si dice e si scrive, quando un governo inizia il suo cammino. Va precisata subito una cosa: l’esordio non lascia presagire nulla di buono.  Ed il “nulla di buono” sta già tutto in quella parolina aggiunta accanto al titolo del nostro ministero: “merito”. Un termine assai… Leggi tutto: È solo una questione di merito?
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TRECENTOVENTISEI


“Come mai sei così arrabbiata?” – esordisco al telefono, sentendo subito il tono di voce di chi sta dall’altra parte.

Paola è una mia collega, conosciuta nei lunghi anni di precariato, trascorsi da entrambe nei più disparati angoli della provincia. 

Lei arrivava dalla Capitale, ma, zitta zitta, era riuscita a trovare una cattedra non troppo lontana dal suo quartiere spostandosi più a Nord nella regione, da noi provinciali.

Col passaggio di ruolo era arrivato finalmente il posto vicino casa.

Siamo restate amiche.

Ogni tanto ci sentiamo al telefono e ci scambiamo querimonie. Sui nostri piccoli e grandi guai.

Nei mesi scorsi abbiamo parlato fino allo sfinimento della pandemia, della nostre paure durante il lockdown, ora della nostre ansie per il rientro in presenza e dei tanti problemi irrisolti.

(che poi, a dirla tutta, sono i problemi che la scuola si trascina dietro da anni: con la stagione eccezionale che abbiamo appena vissuto, si sono solo riacutizzati, sono ovviamente peggiorati)

“Sono arrabbiata, perché non lo sopporto più!” – dice, con tono melodrammatico.

Sta parlando del suo Dirigente Scolastico. 

I loro rapporti non sono mai stati particolarmente armoniosi, ma da qualche tempo l’insofferenza per il suo modo dispotico di dirigere l’istituto in cui lei lavora è aumentata.

È arrivata al punto massimo di tensione.

E io – ascoltando al telefono – ne faccio le spese.

“Mia cara, capisco quello che dici, ma mettiti, per una volta almeno, nei suoi panni! Non lo voglio giustificare più di tanto, ma, in un momento come quello che stiamo vivendo, non vorrei essere un Preside, nemmeno per tutto l’oro del mondo! Per carità! Mi fanno pena, un po’ tutti!”

Lei sospira – dall’altra parte della linea – spazientita.

“Non si sono mai messi nei nostri panni, in questi mesi! Non fanno altro che riempirci di compiti assurdi e tutti inutili, per giunta!”

(“adesso inizia il clou della lamentazione” – mi dico)

“Durante l’ultimo Collegio, poi, non ha fatto altro che caricarci di incombenze, di cose da fare, pur conoscendo il momento difficile che stiamo tutti attraversando. Ma non ti accorgi che, a novembre, siamo già tutti stanchi morti? Non ti rendi conto?”

(vero: arrivo sveglia fino alle otto di sera e poi mi butto nel letto con l’entusiasmo di un naufrago che afferra l’asse di legno che lo farà galleggiare per un po’ di ore)

“Hai ragione, mia cara!Sono davvero stanca. Anch’io.”

“E invece di alleggerire il nostro lavoro, lui che fa? Lo appesantisce, lo rende intollerabile!”

(a scuola ci si salva solo se – come accade nelle partite di Campo Minato – si riesce ad evitare ogni pericolosa forma di coinvolgimento in incarichi extra, ma è difficilissimo riuscirci: la lusinga-minaccia del Preside è sempre in agguato)

“E poi, quel suo narcisismo del diavolo! Ah, come lo detesto! Vuoi sapere che cosa ho fatto nel corso dell’ultimo Collegio? Dopo due ore e rotti di collegamento online, arrivato dopo cinque-ore-cinque di lezione che avevo fatto al mattino?”

(mi preoccupo quasi: che cosa avrà mai fatto Paola per vendicarsi di lui?)

“Ho contato tutte le volte in cui ha pronunciato “Io”, la parola che ama di più, quella che abita tutto il suo mondo, le sue frasi!”

(cara pandemia, a cosa ci hai ridotto!)

“E…?”

“Trecentoventisei. Ha detto “Io” per trecentoventisei volte. In due ore. Trecentoventisei. Voglio cambiare scuola!”

(insisto: cara pandemia!)

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    GIORNATE FATICOSE In una delle mie classi ho messo su un piccolo laboratorio di haiku. È la seconda volta che mi capita: credo che – nell’anno (il secondo) in cui in classe si lavora in modo “tecnico” sul testo poetico – fare poesia in modo concreto, aiuti a capire quanto faticoso sia l’atto creativo di… Leggi tutto: GIORNATE FATICOSE
  • PROVE SCRITTE
    PROVE SCRITTE Si tratta di un’impressione “a caldo” e, forse, proprio per questo, lascerà il tempo che trova,   verrà interpretata come lo sfogo di una docente eccessivamente preoccupata.  Tuttavia questo sempre più probabile annullamento delle prove scritte dell’Esame di Stato si porta dietro un inevitabile senso di fallimento.  Di perdita di una cosa importante.… Leggi tutto: PROVE SCRITTE